Fondazione anno zero è un romanzo di fantascienza di Isaac Asimov pubblicato postumo nel 1993.
È il secondo dei due antefatti al Ciclo della Fondazione.
Formato da cinque parti con lunghi intervalli temporali fra loro, ci troviamo di nuovo Trantor, otto anni dopo gli eventi raccontati nel precedente Preludio alla Fondazione.
Percorriamo l’intera vita di Hari Seldon e gli sviluppi della psicostoria fino all’applicazione pratica negli eventi galattici.
Ogni parte del libro è intitolata a un personaggio, che esce di scena alla conclusione di essa.
Ho preso qualche appunto:
DANZE POLITICHE
“Per Joranum è facile parlare di uguaglianza, perché lui non ha nessuna delle loro responsabilità. Se si trovasse seduto al posto di comando, scoprirebbe che i suoi sforzi verrebbero enormemente diluiti da un impero di venticinque milioni di pianeti.
Ognuno pretende una grande mole di uguaglianza per sé, ma ne riserva una quantità assai minore agli altri.”
Gesti meschini per salire al potere o sapienti raggiri per liberarsi dalla notorietà coreografati come un balletto.
Nulla di tecnico ma solo il susseguirsi degli eventi con le loro naturali conseguenze.
Questi “giochini” li troviamo un po’ per tutto il libro, narrati con l’esperienza stessa dei personaggi e non tramite lunghe e noiose spiegazioni.
Una tecnica che ho pensato di chiamare: “La Semina” (ma esisterà senza dubbio un termine migliore).
Spargere piccoli granelli di un argomento per tutta la trama in modo da diluirlo e renderlo più fruibile.
RIDONO DI ME
“Le loro credenze e i loro miti appaiono ridicoli, umoristici e incredibilmente stupidi alla gente esterna. Un loro colpo di stato per impadronirsi del governo finirebbe soffocato dalle risate.
Essere temuti non è un peso.
Essere disprezzati può risultare certe volte sopportabile, ma essere derisi apertamente è fatale”.
Un punto che si ricollega in parte a ciò che ho detto sopra. Non c’è nulla di peggio, per una persona che aspira a far carriera, dello scherno altrui.
“L’essere presi sul serio” come necessità e il dramma di dover mentire sulle proprie origini come se fossero un peso e una vergogna.
COMMOVENTE
“Hari, se questo può servire ad alleviare il suo dolore, ricordi che suo figlio è morto in difesa della conoscenza. Non è stato per l’impero ma per l’umanità stessa”.
Alcuni passaggi in particolare sono davvero difficili da digerire senza spenderci almeno una lacrima.
Uno tra tutti la solitudine della nipote di Hari, bambina prodigio che teme di essere accantonata dalla famiglia dopo la nascita della sorellina.
E ancora l’amicizia fraterna, le scene di sacrificio e amore.
Il rispetto che diventa ponte dell’unione tra uomo e macchina proprio a fine libro, per dare un’ultima stoccata di malinconia.
LA FINE SI AVVICINA
“Non aveva fondi per proseguire il suo lavoro, niente soldi per individuare altri come Wanda, né per pagare i suoi collaboratori del Progetto Psicostoria a Streeling”.
Più incalzante del volume precedente.
I salti temporali sono notevoli ma chiari: la psicostoria deve essere ultimata prima della morte di Hari.
Per un progetto così ambizioso può bastare una vita intera?
SEMPLICE
“Un fulminatore, nonostante il suo nome, non ‘fulmina’ nel vero senso della parola. Colpisce e vaporizza l’interno del bersaglio e in pratica, provoca un’implosione”.
In molti libri certe descrizioni tendono ad essere troppo prolisse e spiegare un personaggio, quasi come se lo scrittore avesse paura di non essere compreso.
E allora ecco pagine intere di sentimenti spiegati, stanze e dettagli irrilevanti descritti nei minimi dettagli.
In questo caso ci si trova davanti a una scrittura asciutta, senza fronzoli.
Nessuna parola viene lasciata al caso, anche le ripetizioni.
UMANO
“Devi assumere un’espressione divertita. Non puoi riprodurre il suono di una risata, per quanto convincente, con un viso troppo serio. Sorridi leggermente, appena un poco. Incurva verso l’alto gli angoli della bocca”.
L’approccio con gli androidi mostra l’umanità in tutte le sue sfaccettature che sarebbe altrimenti raccontata quasi come un trattato.
Ancora una volta, l’esempio e il vissuto mostrano qualcosa che possiamo capire a fondo solo grazie all’esperienza.
L’UNICO OBBIETTIVO
“Ciò che intendo creare è un’opera completamente autonoma che contenga, nella forma più concisa possibile, le informazioni essenziali di cui l’umanità ha bisogno”.
Un unico grande scopo che supera difficoltà e coinvolge le vite di tante persone che forse non si rendono conto di quanto la situazione sia grave.
Hari porta un enorme peso sulle spalle ma tiene gli occhi sempre puntati sulla meta e non si fa distrarre da nulla.
Quando leggo di lui ricordo sempre una frase del film “Il Quinto Elemento” che diceva: “Il tempo non è importante, solo la vita è importante”.
Voglio immaginare che sia un tributo al Ciclo della Fondazione, senza dubbio lo rappresenta bene.