SOMA

 

Non so se avete mai giocato a SOMA, il videogioco della società svedese Frictional Games.

Potrebbe apparire come il tipico survival horror ma in realtà, nel corso della storia, vengono poste delle scelte morali, anche molto profonde.
Dove si spinge il confine tra uomo e macchina? Quali ripercussioni avrà questa scelta sulla nostra idea di uomo e sul suo destino?

Tutto ha inizio nel 2015, nell’appartamento di Simon Jarret, il protagonista della vicenda.
Subito abbiamo modo di scoprire il suo background: l’uomo ha subito un brutto incidente d’auto, nel quale è morta una sua cara amica e collega. Il trauma però ha avuto effetti anche su di lui: sebbene sia sopravvissuto, il suo cervello ha subito danni molto importanti e per questo motivo accetta di sottoporsi a una cura sperimentale.
Giunto nello studio del dottore e indossato un casco per la scansione encefalica, Simon si trova proiettato all’interno di una struttura apparentemente abbandonata, 89 anni dopo. È il 2104 e la Terra, dopo l’impatto con una cometa, mostra uno scenario post apocalittico.
Simon si risveglia in un sottomarino, chiamato Pathos II, dove gli studiosi stavano lavorando al progetto ARK. L’idea era quella di preservare l’umanità con un computer che potesse riprodurre un metaverso in cui le scansioni cerebrali del personale potessero continuare ad esistere in una “simulazione di vita”.
E qui inizia il suo percorso fisico e spirituale, che lo porterà a interrogarsi sul significato della parola vita e di come questa si possa applicare a contesti complessi come quello dell’intelligenza artificiale.

Il protagonista si troverà spesso davanti a scelte prive di soluzioni univocamente corrette, alla ricerca della risposta che, da molto tempo, attanaglia scrittori e filosofi: cosa ci rende umani?

Una storia carica di atmosfere malsane e “sporche”, in cui l’ansia sale grazie alla trama e all’ambientazione perfettamente progettata.

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