MARTEDÌ DELLO XENO – I TETRAP

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO torniamo nell’universo del Doctor Who per scoprire degli alieni difficili da cogliere alle spalle.

I Tetrap sono una specie extraterrestre originaria del pianeta Tetrapyriarbus.
Non molto alti, hanno un vago aspetto di pipistrelli antropomorfi e sono piuttosto pelosi, con il muso schiacciato, una grossa bocca irta di denti appuntiti, una cresta ossea sulla fronte, mani tozze dotate di artigli e delle membrane di pelle sotto le braccia che dovrebbero essere ali vestigiali.
Inoltre – cosa ben più strana – hanno due ampie paia d’orecchie, uno orientato di fronte e l’altro alle loro spalle, più un totale di quattro occhi, uno su ogni lato della testa. Nonostante questo, però, la loro vista non è un granché.
Infine, la loro lingua biforcuta può iniettare una tossina paralizzante e anche essere utilizzata per bere il plasma sanguigno di altre creature (la loro fonte di nutrimento).

L’indole dei Tetrap è essenzialmente malvagia – o quantomeno predatoria – e nel primo episodio in cui compaiono sullo schermo (“Time and The Rani”, il primo blocco della stagione 24, andato in onda nel 1987) svolgono il ruolo di gregari dell’antagonista principale: La Rani, una Signora del Tempo rinnegata.
Questa, con l’eccezione di un breve cameo nello speciale per il 30^ anniversario della serie uscito nel 1993, è anche la loro unica apparizione nella serie televisiva principale, anche se poi sono stati ripresi in altri prodotti secondari come audiolibri, action figure e persino giochi di miniature.

Ultima curiosità: i Tetrap dormono a testa in giù, proprio come i pipistrelli!

MARTEDÌ DELLO XENO – I GATTOPIATTI

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO delle creature dal nome buffissimo, nate dalla penna dello scrittore Robert A. Heinlein (autore, tra le altre cose, di “Fanteria dello Spazio”).

I gattopiatti, in lingua originale “flat cats” sono strani esseri di forma discoidale grossi all’incirca quanto una torta, originari del pianeta Marte.
Interamente ricoperti di pelo rossiccio, non hanno arti, orifizi o, in realtà, altre fattezze distinguibili a parte tre piccoli occhi neri posti su un’estremità del corpo.

Il loro nome deriva dal fatto che, se accarezzati, emettono un suono simile alle fusa di un gatto che le persone trovano rilassante. Si tratta, infatti, di semplici animaletti da compagnia.

Piccolo problema: nascono già gravidi e si riproducono a una velocità impressionante, anche poche ore, sfornando di volta in volta cucciolate da 5-8 esemplari (in media). Cosa che, se non viene tenuta sotto controllo, conduce inevitabilmente a un problema di sovrappopolazione.

Ed è esattamente ciò che succede nel romanzo di cui sono protagonisti, “L’invasione dei gattopiatti” (in originale “The Rolling Stones”), del 1952, edito in Italia da Rizzoli.
Qui la famiglia Stone, impegnata in un viaggio turistico per il sistema solare a bordo della loro astronave, acquista un esemplare proprio su Marte ma ben presto si ritrova il veicolo strapieno di gattopiatti. Tanto che saranno costretti a ibernarli per impedirne l’ulteriore riproduzione e il consumo di tutte le provviste.
Poi li rivenderanno a dei minatori su una vicina fascia di asteroidi.

Se la storia vi sembra familiare e vi ha ricordato i ben più famosi Triboli di Star Trek… beh, avete ragione: le due creature sono sorprendentemente simili.

Infatti quando uscì l’episodio “Animaletti pericolosi” della serie originale, nel 1967, nonostante l’autore David Gerrold abbia dichiarato di non essersi ispirato volontariamente al romanzo di Heinlein, quando apprese della somiglianza si preoccupò di contattare lo scrittore per chiedergli il permesso di utilizzare l’idea.
Heinlein non ebbe nulla in contrario, indicando tra l’altro come possibile fonte d’ispirazione anche il racconto del 1905 “Pigs is Pigs” di Ellis Parker Butler (dove eventi simili accadono con dei porcellini d’India), ma chiese in cambio una copia autografata del copione.

MARTEDÌ DELLO XENO – KRANG

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO uno degli antagonisti classici delle Tartarughe Ninja, raccontato nella sua versione a me più cara: quella della serie animata degli anni 80/90.

Krang è un extraterrestre originario della Dimensione X, dove era un potente signore della guerra grazie alla sua enorme armata di Guerrieri di Roccia (soldati ottenuti versando il mutagene sulle pietre) e al suo prodigioso ingegno, tale da permettergli la costruzione del Tecnodromo, una enorme fortezza semovente piena zeppa di equipaggiamenti e armi high-tech (praticamente una piccola Morte Nera su cingoli).

Un giorno però un misterioso incidente sortì il duplice effetto di farlo esiliare sulla Terra e, soprattutto, di privarlo del corpo (originariamente di forma rettiliana), riducendolo di fatto a un piccolo cervello rosa dotato di tozzi tentacolini.

Una condizione che l’ha costretto ad allearsi con Shredder, leader del Clan del Piede, barattando il proprio genio e le proprie tecnologie in cambio della costruzione di un nuovo corpo meccanico.
Da allora, utilizzando il Tecnodromo come base, i due collaborano per il comune intento di conquistare il mondo. Anche se in realtà, vista la natura di entrambi, la loro è un’alleanza “con riserve”, che si regge puramente su interessi reciproci, senza i quali non esiterebbero a tradirsi l’un l’altro.

A livello caratteriale, Krang è il tipico genio megalomane. Si considera intellettualmente superiore a chiunque altro (e a buona ragione, visto che il suo QI è venti volte superiore a quello di un umano) ma la sua arroganza o – dice lui – la stupidità dei suoi sottoposti portano spesso rallentamenti nel suo grande piano di conquista.
Tra l’altro, a differenza di Shredder, che ha questioni personali aperte con le Tartarughe, lui le vede solo come un’interferenza di poco conto, per quanto fastidiosa.
Inoltre prova un certo piacere nel vederegli altri soffrire e, quando non ha il coltello dalla parte del manico, si rivela molto insicuro e codardo.

Vista la sua condizione fisica, poi, raramente scende in battaglia in prima persona. Ma quando lo fa, grazie al suo potente esoscheletro robotico e a una miriade di altri gadget ipertecnologici di sua invenzione, è un avversario più che temibile.

MARTEDÌ DELLO XENO – KRELMAN

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO un buffo personaggio proveniente dall’universo espanso di Guerre Stellari (oggi chiamato “Legends” e non più considerato canonico).

Krelman è uno dei tanti avventori alieni della taverna di Mos Eisley.
Non sappiamo quale sia il nome della sua specie, il suo mondo di origine o praticamente qualsivoglia dettaglio su di lui. Solo che ha un aspetto abbastanza simile a quello di un umano, con però sei dita sulla mano sinistra (ma non su quella destra) e un curioso orifizio sulla testa che utilizza per bere.
Tra l’altro parzialmente nascosto tra i capelli, cosa che gli conferisce un po’ l’aspetto a “testa di vulcano”.

Krelman appare solo e unicamente nell’infausto film per la TV “Star Wars Holiday Special” del 1978, ripudiato da Lucas (che comunque non se ne occupò in prima persona) e da molti considerato (con buone ragioni) il peggior prodotto dell’intero franchise.

Nello spezzone a lui dedicato, l’alieno prova goffamente a conquistare la barista Ackmena, di cui si è infatuato qualche giorno prima, malinterpretando un cordiale saluto di lei come qualcosa di più.
A vestirne i panni fu il comico Harvey Korman, all’epoca piuttosto famoso, che interpreta anche altri due personaggi all’interno della pellicola.

Sicuramente uno dei momenti più trash di Guerre Stellari. Ma vederlo bere attraverso il buco in testa – devo essere sincera – mi ha piuttosto divertita!

IL MIGLIOR FINALE DI BLADE RUNNER

 

Parlando con amici che sono andati a rivederlo al cinema lo scorso lunedì, mi sono resa conto che l’epilogo di Blade Runner, anche dopo tanti anni, è ancora oggetto di accese discussioni.

Io sono un’accanita sostenitrice del finale introdotto con la versione Director’s Cut, quella uscita nel 1992 e voluta insistentemente dallo stesso Scott.
Non tanto perché insinua che Deckard possa essere un replicante egli stesso (concetto comunque affascinante) ma perché mantiene intatta quell’amarezza di fondo che pervade l’intera opera.

Una cosa che invece il finale originale del 1982, voluto dai produttori nonostante la riluttanza del regista, distrugge completamente, imponendo un lieto fine che mal si sposa con tutto il resto del film.
Eppure ho scoperto che molti lo preferiscono, forse anche per una questione di nostalgia.

Sono però curiosa di sapere cosa ne pensate voi.

Preferite la dolorosa consapevolezza del “peccato che lei non vivrà” oppure vedere Deckard e Rachel allontanarsi in macchina, con la voce narrante che afferma che “lei è un replicante speciale, senza data di termine”?

MARTEDÌ DELLO XENO – I SAUCER MEN

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO degli invasori che non si prendono troppo sul serio, ricordati dagli amanti dei B-movie più per la qualità (non eccelsa) dei costumi che per altro.

Questi alieni, comunemente chiamati “Saucer Men” poiché il vero nome è sconosciuto, così come la loro origine, appaiono nel film del 1957 “Invasion of the Saucer Men”, da noi arrivato come “Invasori dall’altro mondo”.

Alti circa 120 centimetri, hanno il corpo ricoperto da squame verdi e una grossa testa che a me personalmente ricorda una verza, orecchie a punta, due occhi sporgenti con la pupilla a taglio e una bocca circondata da spesse labbra rosa.
Sul dorso delle mani hanno inoltre un altro occhio (per un totale di quattro) e le loro dita sono lunghe e affusolate, dotate di artigli retrattili attraverso i quali possono iniettare letali quantità di alcool concentrato.

Un altra caratteristica curiosa è che quando una parte del loro corpo viene recisa poi continua a vivere di vita propria, dimostrandosi anche in grado di compiere scelte ponderate. Non è però ben chiaro se questo sia dovuto a una normale funzione biologica o il risultato di qualche forma di potere psichico.

Comunque sia, il punto debole di queste creature sembra essere la luce diretta, tanto che è sufficiente puntargli contro una torcia o scattargli una foto con il flash per farli urlare di dolore e, in caso di esposizione prolungata, farli scomparire in una nuvola di fumo.

Quali siano i loro scopi invece non è ben chiaro e, a voler essere precisi, la trama non chiarisce nemmeno se siano realmente ostili o si stiano solo vendicando per il torto subito.
All’inizio del film, infatti, dopo che il loro disco volante è atterrato nei boschi attorno a una piccola cittadina rurale, uno degli alieni viene investito da una macchina guidata da una coppia di teenager. E da quel momento in poi le cose degenerano rapidamente, in un crescendo di situazioni sempre più bizzarre e spesso sopra le righe, dichiarata parodia degli stereotipi dei film con invasori extraterrestri.

Ai tempi del suo rilascio il film riscosse poco successo, ma nel tempo è riuscito ricavarsi lo status di “cult” del genere, tanto che i Saucer Men sono poi stati citati in tante opere successive, per esempio i Simpson, Futurama e Men In Black.
Qualcuno sostiene siano anche stati di ispirazione per i marziani della serie di figurine “Mars Attacks!”, uscita nel 1962 e di cui vi avevo parlato qualche mese fa. Ma su questo, sinceramente, sono un po’ scettica.

Ultima curiosità: per qualche strano motivo, la locandina originale ritrae questi invasori extraterrestri molto più grossi di quanto poi siano nel film, mostrandoli nel classicissimo atto di rapire una donna avvenente.

MARTEDÌ DELLO XENO – GLI ANFIBIANI

 

Oggi per il MARTEDÌ DELLO XENO (che questa volta esce eccezionalmente di mercoledì) torniamo nel fertile mondo dei B-movie con una creatura anfibia apparsa in “Destination Inner Space”, film del 1966 che da noi è arrivato come “L’invasione – Marte attacca Terra” nonostante al suo interno non venga mai specificato che il mostro provenga dal pianeta rosso.

Le origini dell’alieno in questione, infatti, restano avvolte nel mistero: quando per caso gli scienziati di un laboratorio sottomarino notano uno strano oggetto non identificato – presumibilmente un’astronave extraterrestre – ruotargli attorno, questa “spara” contro di loro una specie di cilindro fatto di ghiaccio.
Portato a bordo, lo strato esterno della “capsula” si scioglie e questa si gonfia in poche ore fino a schiudersi, emettendo nel mentre un fastidiosissimo ultrasuono stridulo.
E alla fine ne esce un mostro dall’aspetto ittico, alto all’incirca come un essere umano ma con il corpo ricoperto da scaglie grigio-bluastre, mani e piedi palmati, piccole pinne arancioni e una grossa cresta dello stesso colore sul dorso, grandi occhi completamente neri e una bocca larga costellata di dentini appuntiti.

Non è ben chiaro se la capsula sia una sorta di uovo, un mezzo di trasporto o una specie di camera di stasi.
In realtà poco importa, perché la creatura, battezzata “Anfibiano” dagli scienziati, prende – ovviamente – ad attaccarli senza pietà sia in acqua che all’asciutto. E si rivela non solo molto forte fisicamente ma anche in grado di trasmettere una mortale infezione attraverso le ferite che infligge.

Non potendoci comunicare – e trattandosi di un film a basso costo che vuole solo mostrare un po’ di azione contro il mostro di turno – purtroppo non si sa niente della società anfibiana, dei loro scopi sulla Terra o perché siano così aggressivi.
Sembrerebbe che le loro astronavi siano completamente automatizzate e qualcuno ipotizza che siano scappati dal loro pianeta per sfuggire a una pestilenza (la stessa che trasmettono agli umani quando li feriscono) ma si tratta solo di congetture basate su troppi pochi elementi.

Però a livello estetico mi stanno simpatici. Guardandoli penso al ben più noto Mostro della Laguna Nera, a Mer-Man dei Dominatori dell’Universo e anche un po’ ai mostri dentro ai fiumi di The Legend of Zelda!

STREET FIGHTER 2010: THE FINAL FIGHT

 

Conoscete “Street Fighter 2010: The Final Fight”?

È un videogioco platform-sparatutto d’azione pubblicato da Capcom per il Nintendo Entertainment System nel 1990, ambientato in (quello che allora era) un futuro fantascientifico e protagonista per anni di leggende metropolitane e dibattiti sul web.

Attenendoci alla trama della versione originale giapponese, infatti, nell’anno 2010 l’umanità ha colonizzato tanti altri mondi e creato una società mista assieme a varie specie aliene. Tuttavia, i tempi sono oscuri e – cito testualmente – “atroci crimini vengono commessi”, soprattutto da cyborg di incredibile potenza.
A renderli ancora più pericolosi sono poi arrivati delle creature insettoidi chiamate semplicemente “Parassiti”, che fondendosi con l’ospite ne aumentano a dismisura le capacità.
Per fermarli e distruggerli, la Polizia Galattica invia Kevin Straker, un agente cyborg membro della divisione Grandi Crimini.

E fin qua tutto bene, a parte il fatto che il gioco non c’entra praticamente nulla con il primo Street Fighter, uscito nel 1987, nonostante condivida con lui il titolo.

Per il rilascio in patria, però, la divisione USA della Capcom decide di modificare la storia per renderla un vero e proprio sequel.
Kevin viene così cambiato in Ken Masters, proprio quello di Street Fighter, che venticinque anni dopo aver vinto il Torneo Mondiale di Lotta è diventato un brillante scienziato e assieme al suo collega Troy ha inventato il Cyboplasma: una sostanza in grado di potenziare il corpo umano ma che se presa in dosi eccessive trasforma in mostri mutanti iper-aggressivi.
Quando poi qualcuno irrompe nel loro laboratorio, uccide Troy e ruba l’invenzione, Ken decide di “rimettersi in forma” con degli impianti bionici e partire alla ricerca del responsabile per vendicare il suo amico e recuperare il Cyboplasma prima che la situazione sfugga al controllo.

Insomma, non proprio una trama convincente, ma ok. Facciamo finta che funzioni. In fondo il gioco, anche se generalmente giudicato un po’ difficile, è abbastanza carino.

Poi però a febbraio 1991, solo pochi mesi dopo, prima nelle sale giochi e poi sulle consolle domestiche compare il vero seguito del primo gioco: Street Fighter II, il titolo che consacrerà la saga come pietra miliare nella storia dei picchiaduro, quello che tutti abbiamo giocato almeno una volta.

E a questo punto nessuno ci capisce più nulla. Le vicende di Street Fighter 2010 sono canoniche o no?
Di fatto poi non vengono più riprese o citate in nessun altro capitolo della saga e negli anni si diffonde la voce (falsa) che in realtà la versione giapponese del gioco avesse un altro titolo. E che fosse tutto un pasticcio di adattamento fatto dagli americani per guadagnare più soldi sfruttando il nome del famoso franchise.
Qualcuno, addirittura, parla di retcon.

A porre fine alla confusione ci penserà Capcom stessa. Ma solo venticinque anni dopo, nel 2016, pubblicando nella sezione del suo sito ufficiale dedicata a Street Fighter anche il profilo di Kevin Straker, specificando che il personaggio è diverso da Ken Masters e che le sue vicende si svolgono in un universo alternativo, considerato non canonico.

Il mistero è dunque risolto, l’ho scoperto da poco. Resta solo una bella storia off-game da raccontare, che mi ha molto appassionata!

MARTEDÌ DELLO XENO – I PICCOLI OMINI VERDI

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO degli alieni molto misteriosi apparsi nel cartone animato Gravity Falls (che se non avete mai visto vi consiglio assolutamente di recuperare).

Il vero nome è sconosciuto ma in genere ci si riferisce a loro come “I piccoli omini verdi”.
Grossi all’incirca quanto la capsula delle sorpresine kinder, hanno l’aspetto di piccoli cilindri gelatinosi, senza gambe, con due braccia che culminano in manine con tre dita, grandi bocche e occhi con l’iride viola.
Gli unici vestiti che indossano, poi, sono dei guanti e una cintura con sopra un simbolo a forma di fulmine.

La vera particolarità però è che pilotano un mezzo-robot che (secondo la logica semiseria del cartone) se inquadrato dal lato sinistro è indistinguibile da un normale essere umano.
Guardando quello destro, invece, si possono vedere tutti i complessi macchinari che lo fanno muovere, azionati da una squadra di ben 16 omini verdi.

Tuttavia, quali siano la loro origine, i loro scopi, le motivazioni per cui vivono mimetizzati tra le persone fingendosi un abitante di Gravity Falls e – soprattutto – perché non abbiano costruito anche l’altra metà di robot, resta un mistero.
Una volta scoperti, infatti, tutti gli omini verdi attivano una sorta di protocollo di emergenza e, facendo riferimento a un “giuramento” e al fatto che “il momento sia arrivato”, inghiottono degli strani cubi rossi che li fanno scomparire in un lampo di luce.
Subito dopo il mezzo-robot si autodistrugge senza lasciare alcuna traccia di sé.

Questi fatti avvengono in “Il lato sinistro”, uno dei corti rilasciati tra la prima e la seconda stagione della serie. E fra le tante bizzarrie viste nei vari episodi, questa è senz’altro una di quelle che mi ha fatta più ridere!

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