MARTEDÌ DELLO XENO – I FASCINATORI

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO degli invasori subdoli, inventati dallo scrittore Ray Nelson per il racconto breve del 1963 “Alle otto del mattino” ma resi famosi da John Carpenter con il suo film “Essi vivono” del 1988.

I Fascinatori, chiamati spesso anche “Alieni Blu” o “Ghoul”, dato che non si sa quale sia il loro vero nome, sono extraterrestri che – presumibilmente – viaggiano di pianeta in pianeta per soggiogarne la popolazione e acquisirne le risorse.

Per farlo però non attaccano in forze, allo scoperto, bensì agiscono nell’ombra, sfruttando la loro tecnologia avanzata per “ipnotizzare” le persone con messaggi subliminali che inducono l’obbedienza, nascosti in oggetti di uso comune, come riviste, cartelloni pubblicitari o il denaro.
E intanto, ovviamente, si insediano nelle posizioni di potere e fanno la vita da nababbi.

Come conformazione fisica non sono troppo dissimili dagli umani, con la differenza che hanno la pelle blu, volti scavati e sono privi di palpebre e labbra. In generale ricordano un po’ degli zombie.
Ma non è un problema, visto che il loro vero aspetto è comunque celato ai più con la stessa tecnologia subliminale di cui vi parlavo prima.

Nel racconto originale, invece, è molto diverso. Vengono infatti descritti come esseri rettiliani con quattro occhi e, in questa versione, si nutrono di carne umana.
Un’altra versione ancora è poi quella apparsa nel fumetto del 1986, scritto sempre da Nelson e disegnato da Bill Wray, dove hanno l’aspetto di mostri informi con tanti occhi, protuberanze a caso e zanne.

In generale, per il modo in cui viene raccontata la storia (all’improvviso il protagonista si risveglia e cerca il modo di farne fuori il più possibile e aprire gli occhi anche agli altri esseri umani) non viene approfondito molto del loro background. Per questo motivo sulla loro specie si sa davvero poco.
Restano però dei cattivi iconici del genere, soprattutto nella versione cinematografica!

IL RITORNO DELLO JEDI… CON LA SPADA BLU

 

Di recente, chiacchierando con amici, ho scoperto una cosa che non conoscevo (o meglio, che conoscevo solo in parte) su “Il Ritorno dello Jedi”. E cioè che originariamente la spada laser di Luke Skywalker, come viene mostrato nei poster del film e in alcuni trailer del 1982, non era di colore verde ma blu.

A quanto pare, fino ad allora, George Lucas e il resto della produzione avevano in testa un canone molto chiaro e semplice: i Jedi utilizzavano spade laser con la lama blu, i Sith invece con la lama rossa. Insomma, un colore per i buoni e uno per i cattivi. Punto.

E così sarebbe dovuto essere anche nel terzo film, che però presentò un nuovo problema tecnico: nelle scene all’aperto su Tatooine, quando Luke si scontra con gli scagnozzi di Jabba, la lama blu si confondeva troppo con l’azzurro del cielo sullo sfondo.
Si decise quindi di cambiare il colore in verde per creare un contrasto cromatico più marcato.
E, secondo altre fonti, anche per ragioni narrative, così da rendere più chiaro e immediato al pubblico comprendere che il ragazzo, dopo aver perso la spada (e la mano) nel duello con Vader del precedente film, ne avesse costruita una nuova tutta sua.
Cosa che, tra l’altro, veniva persino mostrata in una scena. Che però poi non fu inserita nel montaggio finale del 1983 ma rivelata al pubblico solo molti anni più tardi, nel 2010.

Personalmente, credo che le due cose non si escludano a vicenda e possano anche essere vere entrambe. Dubito che lo sapremo mai con certezza!

Certo, vedere il trailer di cui vi parlavo prima con questo piccolo dettaglio diverso da come ricordavo fin dall’infanzia è stato strano… ma mi ha anche divertita.

Facendo ricerche per questo articolo ho poi scoperto che sia l’Universo Espanso che il nuovo canone hanno dato spiegazioni per la cosa, tirando in ballo i cristalli kyber e via dicendo (nel primo Luke crea il proprio cristallo sintetico, nel secondo ne riceve in dono uno trasparente e questo diventa verde dopo aver avuto una visione di Yoda) ma io ho trovato più interessante snocciolare i dettagli del dietro le quinte!

MARTEDÌ DELLO XENO – KRELMAN

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO un buffo personaggio proveniente dall’universo espanso di Guerre Stellari (oggi chiamato “Legends” e non più considerato canonico).

Krelman è uno dei tanti avventori alieni della taverna di Mos Eisley.
Non sappiamo quale sia il nome della sua specie, il suo mondo di origine o praticamente qualsivoglia dettaglio su di lui. Solo che ha un aspetto abbastanza simile a quello di un umano, con però sei dita sulla mano sinistra (ma non su quella destra) e un curioso orifizio sulla testa che utilizza per bere.
Tra l’altro parzialmente nascosto tra i capelli, cosa che gli conferisce un po’ l’aspetto a “testa di vulcano”.

Krelman appare solo e unicamente nell’infausto film per la TV “Star Wars Holiday Special” del 1978, ripudiato da Lucas (che comunque non se ne occupò in prima persona) e da molti considerato (con buone ragioni) il peggior prodotto dell’intero franchise.

Nello spezzone a lui dedicato, l’alieno prova goffamente a conquistare la barista Ackmena, di cui si è infatuato qualche giorno prima, malinterpretando un cordiale saluto di lei come qualcosa di più.
A vestirne i panni fu il comico Harvey Korman, all’epoca piuttosto famoso, che interpreta anche altri due personaggi all’interno della pellicola.

Sicuramente uno dei momenti più trash di Guerre Stellari. Ma vederlo bere attraverso il buco in testa – devo essere sincera – mi ha piuttosto divertita!

IL MIGLIOR FINALE DI BLADE RUNNER

 

Parlando con amici che sono andati a rivederlo al cinema lo scorso lunedì, mi sono resa conto che l’epilogo di Blade Runner, anche dopo tanti anni, è ancora oggetto di accese discussioni.

Io sono un’accanita sostenitrice del finale introdotto con la versione Director’s Cut, quella uscita nel 1992 e voluta insistentemente dallo stesso Scott.
Non tanto perché insinua che Deckard possa essere un replicante egli stesso (concetto comunque affascinante) ma perché mantiene intatta quell’amarezza di fondo che pervade l’intera opera.

Una cosa che invece il finale originale del 1982, voluto dai produttori nonostante la riluttanza del regista, distrugge completamente, imponendo un lieto fine che mal si sposa con tutto il resto del film.
Eppure ho scoperto che molti lo preferiscono, forse anche per una questione di nostalgia.

Sono però curiosa di sapere cosa ne pensate voi.

Preferite la dolorosa consapevolezza del “peccato che lei non vivrà” oppure vedere Deckard e Rachel allontanarsi in macchina, con la voce narrante che afferma che “lei è un replicante speciale, senza data di termine”?

MARTEDÌ DELLO XENO – I SAUCER MEN

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO degli invasori che non si prendono troppo sul serio, ricordati dagli amanti dei B-movie più per la qualità (non eccelsa) dei costumi che per altro.

Questi alieni, comunemente chiamati “Saucer Men” poiché il vero nome è sconosciuto, così come la loro origine, appaiono nel film del 1957 “Invasion of the Saucer Men”, da noi arrivato come “Invasori dall’altro mondo”.

Alti circa 120 centimetri, hanno il corpo ricoperto da squame verdi e una grossa testa che a me personalmente ricorda una verza, orecchie a punta, due occhi sporgenti con la pupilla a taglio e una bocca circondata da spesse labbra rosa.
Sul dorso delle mani hanno inoltre un altro occhio (per un totale di quattro) e le loro dita sono lunghe e affusolate, dotate di artigli retrattili attraverso i quali possono iniettare letali quantità di alcool concentrato.

Un altra caratteristica curiosa è che quando una parte del loro corpo viene recisa poi continua a vivere di vita propria, dimostrandosi anche in grado di compiere scelte ponderate. Non è però ben chiaro se questo sia dovuto a una normale funzione biologica o il risultato di qualche forma di potere psichico.

Comunque sia, il punto debole di queste creature sembra essere la luce diretta, tanto che è sufficiente puntargli contro una torcia o scattargli una foto con il flash per farli urlare di dolore e, in caso di esposizione prolungata, farli scomparire in una nuvola di fumo.

Quali siano i loro scopi invece non è ben chiaro e, a voler essere precisi, la trama non chiarisce nemmeno se siano realmente ostili o si stiano solo vendicando per il torto subito.
All’inizio del film, infatti, dopo che il loro disco volante è atterrato nei boschi attorno a una piccola cittadina rurale, uno degli alieni viene investito da una macchina guidata da una coppia di teenager. E da quel momento in poi le cose degenerano rapidamente, in un crescendo di situazioni sempre più bizzarre e spesso sopra le righe, dichiarata parodia degli stereotipi dei film con invasori extraterrestri.

Ai tempi del suo rilascio il film riscosse poco successo, ma nel tempo è riuscito ricavarsi lo status di “cult” del genere, tanto che i Saucer Men sono poi stati citati in tante opere successive, per esempio i Simpson, Futurama e Men In Black.
Qualcuno sostiene siano anche stati di ispirazione per i marziani della serie di figurine “Mars Attacks!”, uscita nel 1962 e di cui vi avevo parlato qualche mese fa. Ma su questo, sinceramente, sono un po’ scettica.

Ultima curiosità: per qualche strano motivo, la locandina originale ritrae questi invasori extraterrestri molto più grossi di quanto poi siano nel film, mostrandoli nel classicissimo atto di rapire una donna avvenente.

MARTEDÌ DELLO XENO – GLI ANFIBIANI

 

Oggi per il MARTEDÌ DELLO XENO (che questa volta esce eccezionalmente di mercoledì) torniamo nel fertile mondo dei B-movie con una creatura anfibia apparsa in “Destination Inner Space”, film del 1966 che da noi è arrivato come “L’invasione – Marte attacca Terra” nonostante al suo interno non venga mai specificato che il mostro provenga dal pianeta rosso.

Le origini dell’alieno in questione, infatti, restano avvolte nel mistero: quando per caso gli scienziati di un laboratorio sottomarino notano uno strano oggetto non identificato – presumibilmente un’astronave extraterrestre – ruotargli attorno, questa “spara” contro di loro una specie di cilindro fatto di ghiaccio.
Portato a bordo, lo strato esterno della “capsula” si scioglie e questa si gonfia in poche ore fino a schiudersi, emettendo nel mentre un fastidiosissimo ultrasuono stridulo.
E alla fine ne esce un mostro dall’aspetto ittico, alto all’incirca come un essere umano ma con il corpo ricoperto da scaglie grigio-bluastre, mani e piedi palmati, piccole pinne arancioni e una grossa cresta dello stesso colore sul dorso, grandi occhi completamente neri e una bocca larga costellata di dentini appuntiti.

Non è ben chiaro se la capsula sia una sorta di uovo, un mezzo di trasporto o una specie di camera di stasi.
In realtà poco importa, perché la creatura, battezzata “Anfibiano” dagli scienziati, prende – ovviamente – ad attaccarli senza pietà sia in acqua che all’asciutto. E si rivela non solo molto forte fisicamente ma anche in grado di trasmettere una mortale infezione attraverso le ferite che infligge.

Non potendoci comunicare – e trattandosi di un film a basso costo che vuole solo mostrare un po’ di azione contro il mostro di turno – purtroppo non si sa niente della società anfibiana, dei loro scopi sulla Terra o perché siano così aggressivi.
Sembrerebbe che le loro astronavi siano completamente automatizzate e qualcuno ipotizza che siano scappati dal loro pianeta per sfuggire a una pestilenza (la stessa che trasmettono agli umani quando li feriscono) ma si tratta solo di congetture basate su troppi pochi elementi.

Però a livello estetico mi stanno simpatici. Guardandoli penso al ben più noto Mostro della Laguna Nera, a Mer-Man dei Dominatori dell’Universo e anche un po’ ai mostri dentro ai fiumi di The Legend of Zelda!

MARTEDÌ DELLO XENO – I DOPPELGÄNGER

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO degli alieni “invertiti”.

I Doppelgänger, questo il loro nome ufficioso, sono extraterrestri originari dell’Antiterra, un pianeta che segue la stessa orbita attorno al sole del nostro ma si trova in una posizione diametralmente opposta, cosa che impedisce ai due di scorgersi reciprocamente.

La cosa davvero curiosa, però, è che la vita sull’Antiterra si è sviluppata esattamente come quella sulla Terra, tanto che la tecnologia e la società sono in tutto e per tutto uguali tranne che per una piccola (ma sostanziale) differenza: sono speculari.
Persino gli abitanti, che a una prima occhiata risultano indistinguibili dai normali esseri umani, dentro hanno gli organi al contrario. In più, ogni terrestre ha il proprio doppio sull’Antiterra.

Non si tratta però, come spesso suggerisce il folklore, di doppelgänger malvagi o ostili, ma di persone normalissime, con lo stesso carattere e modo di pensare delle loro controparti “dritte”.

Questi alieni compaiono nel film del 1969 “Doppia immagine nello spazio”, per la regia di Robert Parrish, dove due astronauti terrestri vengono inviati a esplorare il nuovo pianeta appena scoperto grazie a una sonda e, dopo esservi precipitati, vengono scambiati per le loro controparti (che nel frattempo sono state mandate sulla Terra con la stessa missione) e si ritrovano a vivere in una società che ai loro occhi è invertita.

Nella foto: l’astronauta Glenn Ross utilizza uno specchio per leggere le scritte al contrario su un oggetto originario dell’Antiterra.

LADY BATTLE COP

 

Allora: RoboCop lo conosciamo tutti… ma “Lady Battle Cop”?

Prodotta dalla Toei nel 1990, due anni dopo la distribuzione del film di Verhoeven in Giappone, la pellicola rientra nel genere tokusatzu (film e serie TV live-action che fanno grande uso di effetti speciali).

Lo scenario è quello di un futuro prossimo, nella città di Neo Tokyo.
In visita al centro ricerche sperimentale dove lavora il fidanzato cyborg Naoya, la tennista di fama internazionale Kaoru Mikoshiba viene ferita a morte quando l’organizzazione criminale Team Phantom (lo so, dal nome sembrano dei cattivi dei Pokemon) attacca la struttura.
Per salvarla è quindi necessario trasformare anche lei in cyborg, cosa che però finisce col costare la vita a Naoya.

In sua memoria ed equipaggiata con l’armatura sperimentale “Battle Cop Suit” su cui l’uomo stava lavorando – ovviamente ricca di armi e gadget speciali – Kaoru comincia quindi a dare la caccia ai membri del Team Phantom così da ottenere vendetta e liberare la città dalla loro presenza.
Per farlo dovrà scontrarsi anche con Amadeus, un assassino psicopatico che alcuni esperimenti illegali hanno dotato di poteri psichici.

Ovviamente, Lady Battle Cop è un B-movie creato direttamente per il mercato dell’home-video. E pur prendendo molto da RoboCop a livello di trama, inquadrature e iperviolenza, cerca a modo suo di differenziarsi quanto basta per non essere proprio un plagio senza vergogna e, anzi, aggiunge anche elementi nuovi e originali (e a basso budget).
Oltre alla già citata presenza di poteri psichici, per esempio, a differenza del cyborg americano, l’armatura indossata da Kaoru è completamente rimovibile e lei può farsi passare per un essere umano normale senza alcun problema. L’unico elemento strano sul suo corpo è infatti un connettore elettronico impiantato nell’addome, presumibilmente quello che usa per interfacciarsi con la sua Battle Suit (che incorpora tacchetti, un orecchino appeso direttamente al casco e un rossetto rosso perfetto, senza sbavature).

Comunque sia, anche se originariamente era previsto che l’opera lanciasse un franchise (come testimonia il claim “la sua lotta è appena iniziata” che appare sul finale), visto lo scarso successo ottenuto, non furono mai prodotti sequel o altre derivazioni di sorta.

MARTEDÌ DELLO XENO – L’ARTIGLIO

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO un enorme mostro che, la citazione è d’obbligo, “il mio falegname con trentamila lire me lo faceva meglio”.

L’Artiglio – come viene soprannominato – è una creatura gigante simile a un avvoltoio deforme, antagonista del film “Il mostro dei cieli” (1957, regia di Fred F. Sears), da molti considerato il peggior B-Movie di fantascienza di quel decennio, ma che nel tempo è divenuto un vero e proprio cult.

Il motivo è presto detto: la totale inadeguatezza degli effetti speciali, considerati parecchio sotto lo standard anche per l’epoca, e il conseguente aspetto buffo del mostro, che finì per far ridere il pubblico invece di terrorizzarlo, come era stato preventivato.
La situazione era talmente imbarazzante che la produzione fece sapientemente in modo di non mostrare mai il bestione per intero nelle locandine promozionali del film, preferendo concentrarsi su alcuni dettagli (come le zampe o le ali) oppure ricorrere a disegni che lo ritraevano molto meglio di quanto poi apparisse nella pellicola.

Ma perché il povero Artiglio uscì fuori così male?

La colpa – o il merito, a seconda delle prospettive – è stata attribuita al produttore Sam Katzman, specializzato nel mantenere i costi di produzione delle pellicole particolarmente bassi.
Fu lui a delegare la realizzazione degli scenari e del modellino della creatura, oltre che le riprese in cui apparivano, a una ditta messicana non proprio affidabilissima. E persino quando durante il montaggio ci si rese conto della qualità infima del materiale, si rifiutò categoricamente di sborsare anche solo un centesimo in più e insistette per usare comunque quello.

Tornando all’Artiglio, è quel genere di creatura che va a inserirsi nel filone dei mostri giganti, particolarmente popolare in quegli anni.
Invece di essere il solito animale mutato dalle radiazioni atomiche, però, ha un background leggermente più originale, perché proviene da una generica “altra dimensione fatta di antimateria”.
Grazie a questo, oltre alla considerevole stazza (viene descritto come “grande quanto una corazzata”) e le conseguenti forza, velocità e resistenza, è in grado di circondarsi di un campo di antimateria che lo protegge da qualunque attacco.

Non è ben chiaro come mai sia giunto sulla Terra, si presume solo per nidificare e covare le sue uova fino alla schiusa. Quando gli umani le distruggeranno, però, il mostro inizierà a vendicarsi seminando distruzione nelle vicine città.

Nota a margine: se sono riuscita a incuriosirvi e volete vedere il film, potete trovarlo comodamente su YouTube, doppiato nella nostra lingua!

MARTEDÌ DELLO XENO – I LUNAMORFI

 

Oggi, al MARTEDÌ DELLO XENO, degli alieni che infestano la superficie lunare, apparsi nel falso documentario “Apollo 18”, film del 2011 diretto da Gonzalo López-Gallego.

Queste strane creature color bianco-grigiastro di cui non si conosce né l’origine né il vero nome, chiamate talvolta “Lunamorfi” o “Ragni Lunari”, hanno la fastidiosa abitudine di fingersi banali ammassi rocciosi fino a quando non decidono di mangiarsi qualche incauto astronauta che si è avvicinato troppo.
A quel punto, infatti, si alzano su sei zampe lunghe e sottili come quelle degli insetti e rivelano due chele prensili, un paio di occhi e una grossa bocca irta di denti aguzzi.

Curiosamente, hanno forma e dimensioni molto variabili tra loro, forse in base all’anzianità, spaziando da esemplari enormi ad altri grossi quanto un sassolino.
Molto forti e soprattutto agili, gli basta anche solo infliggere una lieve ferita per “infettare” la vittima con qualcosa (si presume una sorta di tossina) che causa una veloce necrosi e annebbia la mente, conducendo in poche ore alla psicosi.
Inoltre – come se già il resto non bastasse – sembrano emettere una sorta di vibrazione a bassa frequenza che disturba i segnali radio.
Da bravi predatori, poi, preferiscono attaccare con il favore delle tenebre, restando invece nascosti, anzi camuffati, in presenza di luce.

E questo è più o meno tutto ciò che si sa di loro, complice anche il fatto che la pellicola (come moltissime altre dello stesso genere) non si sbilanci troppo nel rivelare informazioni certe, così da mantenere un certo alone di mistero.
Sono rimasta anche molto colpita dalle scene finali del film [SPOILER ALERT], che lasciano lo spettatore con il dubbio che i campioni di rocce lunari portate sulla Terra dalle missioni Apollo precedenti siano in realtà piccoli lunamorfi.

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