MARTEDÌ DELLO XENO – I DOPPELGÄNGER

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO degli alieni “invertiti”.

I Doppelgänger, questo il loro nome ufficioso, sono extraterrestri originari dell’Antiterra, un pianeta che segue la stessa orbita attorno al sole del nostro ma si trova in una posizione diametralmente opposta, cosa che impedisce ai due di scorgersi reciprocamente.

La cosa davvero curiosa, però, è che la vita sull’Antiterra si è sviluppata esattamente come quella sulla Terra, tanto che la tecnologia e la società sono in tutto e per tutto uguali tranne che per una piccola (ma sostanziale) differenza: sono speculari.
Persino gli abitanti, che a una prima occhiata risultano indistinguibili dai normali esseri umani, dentro hanno gli organi al contrario. In più, ogni terrestre ha il proprio doppio sull’Antiterra.

Non si tratta però, come spesso suggerisce il folklore, di doppelgänger malvagi o ostili, ma di persone normalissime, con lo stesso carattere e modo di pensare delle loro controparti “dritte”.

Questi alieni compaiono nel film del 1969 “Doppia immagine nello spazio”, per la regia di Robert Parrish, dove due astronauti terrestri vengono inviati a esplorare il nuovo pianeta appena scoperto grazie a una sonda e, dopo esservi precipitati, vengono scambiati per le loro controparti (che nel frattempo sono state mandate sulla Terra con la stessa missione) e si ritrovano a vivere in una società che ai loro occhi è invertita.

Nella foto: l’astronauta Glenn Ross utilizza uno specchio per leggere le scritte al contrario su un oggetto originario dell’Antiterra.

LADY BATTLE COP

 

Allora: RoboCop lo conosciamo tutti… ma “Lady Battle Cop”?

Prodotta dalla Toei nel 1990, due anni dopo la distribuzione del film di Verhoeven in Giappone, la pellicola rientra nel genere tokusatzu (film e serie TV live-action che fanno grande uso di effetti speciali).

Lo scenario è quello di un futuro prossimo, nella città di Neo Tokyo.
In visita al centro ricerche sperimentale dove lavora il fidanzato cyborg Naoya, la tennista di fama internazionale Kaoru Mikoshiba viene ferita a morte quando l’organizzazione criminale Team Phantom (lo so, dal nome sembrano dei cattivi dei Pokemon) attacca la struttura.
Per salvarla è quindi necessario trasformare anche lei in cyborg, cosa che però finisce col costare la vita a Naoya.

In sua memoria ed equipaggiata con l’armatura sperimentale “Battle Cop Suit” su cui l’uomo stava lavorando – ovviamente ricca di armi e gadget speciali – Kaoru comincia quindi a dare la caccia ai membri del Team Phantom così da ottenere vendetta e liberare la città dalla loro presenza.
Per farlo dovrà scontrarsi anche con Amadeus, un assassino psicopatico che alcuni esperimenti illegali hanno dotato di poteri psichici.

Ovviamente, Lady Battle Cop è un B-movie creato direttamente per il mercato dell’home-video. E pur prendendo molto da RoboCop a livello di trama, inquadrature e iperviolenza, cerca a modo suo di differenziarsi quanto basta per non essere proprio un plagio senza vergogna e, anzi, aggiunge anche elementi nuovi e originali (e a basso budget).
Oltre alla già citata presenza di poteri psichici, per esempio, a differenza del cyborg americano, l’armatura indossata da Kaoru è completamente rimovibile e lei può farsi passare per un essere umano normale senza alcun problema. L’unico elemento strano sul suo corpo è infatti un connettore elettronico impiantato nell’addome, presumibilmente quello che usa per interfacciarsi con la sua Battle Suit (che incorpora tacchetti, un orecchino appeso direttamente al casco e un rossetto rosso perfetto, senza sbavature).

Comunque sia, anche se originariamente era previsto che l’opera lanciasse un franchise (come testimonia il claim “la sua lotta è appena iniziata” che appare sul finale), visto lo scarso successo ottenuto, non furono mai prodotti sequel o altre derivazioni di sorta.

MARTEDÌ DELLO XENO – L’ARTIGLIO

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO un enorme mostro che, la citazione è d’obbligo, “il mio falegname con trentamila lire me lo faceva meglio”.

L’Artiglio – come viene soprannominato – è una creatura gigante simile a un avvoltoio deforme, antagonista del film “Il mostro dei cieli” (1957, regia di Fred F. Sears), da molti considerato il peggior B-Movie di fantascienza di quel decennio, ma che nel tempo è divenuto un vero e proprio cult.

Il motivo è presto detto: la totale inadeguatezza degli effetti speciali, considerati parecchio sotto lo standard anche per l’epoca, e il conseguente aspetto buffo del mostro, che finì per far ridere il pubblico invece di terrorizzarlo, come era stato preventivato.
La situazione era talmente imbarazzante che la produzione fece sapientemente in modo di non mostrare mai il bestione per intero nelle locandine promozionali del film, preferendo concentrarsi su alcuni dettagli (come le zampe o le ali) oppure ricorrere a disegni che lo ritraevano molto meglio di quanto poi apparisse nella pellicola.

Ma perché il povero Artiglio uscì fuori così male?

La colpa – o il merito, a seconda delle prospettive – è stata attribuita al produttore Sam Katzman, specializzato nel mantenere i costi di produzione delle pellicole particolarmente bassi.
Fu lui a delegare la realizzazione degli scenari e del modellino della creatura, oltre che le riprese in cui apparivano, a una ditta messicana non proprio affidabilissima. E persino quando durante il montaggio ci si rese conto della qualità infima del materiale, si rifiutò categoricamente di sborsare anche solo un centesimo in più e insistette per usare comunque quello.

Tornando all’Artiglio, è quel genere di creatura che va a inserirsi nel filone dei mostri giganti, particolarmente popolare in quegli anni.
Invece di essere il solito animale mutato dalle radiazioni atomiche, però, ha un background leggermente più originale, perché proviene da una generica “altra dimensione fatta di antimateria”.
Grazie a questo, oltre alla considerevole stazza (viene descritto come “grande quanto una corazzata”) e le conseguenti forza, velocità e resistenza, è in grado di circondarsi di un campo di antimateria che lo protegge da qualunque attacco.

Non è ben chiaro come mai sia giunto sulla Terra, si presume solo per nidificare e covare le sue uova fino alla schiusa. Quando gli umani le distruggeranno, però, il mostro inizierà a vendicarsi seminando distruzione nelle vicine città.

Nota a margine: se sono riuscita a incuriosirvi e volete vedere il film, potete trovarlo comodamente su YouTube, doppiato nella nostra lingua!

LIFELINE, UN SURVIVAL HORROR “VOCALE”

 

Conoscete “Lifeline”?

Si tratta di un videogioco survival horror sviluppato da Sony per la Playstation 2, nel lontano 2003, e distribuito – purtroppo – solo sul mercato giapponese e americano.

Ambientato in un futuro prossimo (il 2029, per la precisione) a bordo di una stazione spaziale adibita a hotel per ricchissimi, pone il giocatore in una situazione unica: bloccato nella sala comandi della struttura.
Da lì il personaggio, chiamato semplicemente “The Operator” per facilitare l’immedesimazione, ha accesso a tutti i vari sistemi interni e a una grande mole di dati come mappe, password e via dicendo, che però non può usare in prima persona.

Dopo che la stazione è stata presa d’assalto da misteriose creature aliene, dovrà quindi affidarsi alla cameriera Rio Hohenheim, un’altra sopravvissuta con cui è in contatto attraverso un auricolare e riesce a seguire attraverso le telecamere di sorveglianza, guidandola in giro per scoprire la verità dietro ai mostri, ritrovare la sua fidanzata scomparsa e, possibilmente, una via di fuga.

La particolarità di Lifeline e ciò che lo rese super-innovativo per l’epoca, però, è che le interazioni con Rio avvengono effettivamente parlando con lei, attraverso un microfono collegato alla PS2.
Il gioco infatti riconosce circa 500 input vocali che permettono di dare istruzioni abbastanza dettagliate alla ragazza, indicandole dove andare, con quali oggetti interagire, se e come affrontare i nemici, per esempio mirando a punti specifici o utilizzando un’arma in particolare, o ancora quali risposte dare o non dare ai PNG.
Ponendosi nel modo giusto (o in quello sbagliato, a seconda dei gusti) è addirittura possibile chiacchierare con lei, scoprendo di più sul suo background e instaurando un certo legame di fiducia (o meno) che influirà sulle azioni che sarà disposta a compiere per noi.

Purtroppo, nonostante la dinamica mente/braccio sia intrigante almeno sulla carta, il gioco ottenne solo un successo discreto.
Infatti, pur apprezzandone la trama, la grafica e il resto, molti giocatori lamentarono difficoltà con il sistema di riconoscimento vocale, sembra non proprio precisissimo, che a tratti poteva rendere l’esperienza frustrante.
Non a caso, ancora oggi sul web potete trovare diversi video di giocatori che, disperati, ripetono a mitraglia i comandi alla povera Rio, sperando che lei prima o poi li colga.

Proprio per questo motivo, Lifeline alla fine non ha visto nessun seguito o prodotto derivato, rimanendo solamente un ambizioso esperimento isolato, ahimè solo parzialmente riuscito.
Negli anni, comunque, è diventato un piccolo cult per gli amanti dei videogiochi particolari.

Io per esempio ne sono affascinata e sarei molto curiosa di provarlo almeno una volta, se potessi.
E devo anche dire che, pensando a quanto la tecnologia si possa essere evoluta da allora e sentendo quanto ultimamente si parli di intelligenza artificiale, non sarebbe affatto male vedere un remake. Chissà!

Ultima curiosità: stando alle mie ricerche, gli eventi di Lifeline si svolgono il 24 dicembre. Quindi, proprio come per il film “Die Hard”, lo si può considerare un gioco natalizio!

MARTEDÌ DELLO XENO – I LUNAMORFI

 

Oggi, al MARTEDÌ DELLO XENO, degli alieni che infestano la superficie lunare, apparsi nel falso documentario “Apollo 18”, film del 2011 diretto da Gonzalo López-Gallego.

Queste strane creature color bianco-grigiastro di cui non si conosce né l’origine né il vero nome, chiamate talvolta “Lunamorfi” o “Ragni Lunari”, hanno la fastidiosa abitudine di fingersi banali ammassi rocciosi fino a quando non decidono di mangiarsi qualche incauto astronauta che si è avvicinato troppo.
A quel punto, infatti, si alzano su sei zampe lunghe e sottili come quelle degli insetti e rivelano due chele prensili, un paio di occhi e una grossa bocca irta di denti aguzzi.

Curiosamente, hanno forma e dimensioni molto variabili tra loro, forse in base all’anzianità, spaziando da esemplari enormi ad altri grossi quanto un sassolino.
Molto forti e soprattutto agili, gli basta anche solo infliggere una lieve ferita per “infettare” la vittima con qualcosa (si presume una sorta di tossina) che causa una veloce necrosi e annebbia la mente, conducendo in poche ore alla psicosi.
Inoltre – come se già il resto non bastasse – sembrano emettere una sorta di vibrazione a bassa frequenza che disturba i segnali radio.
Da bravi predatori, poi, preferiscono attaccare con il favore delle tenebre, restando invece nascosti, anzi camuffati, in presenza di luce.

E questo è più o meno tutto ciò che si sa di loro, complice anche il fatto che la pellicola (come moltissime altre dello stesso genere) non si sbilanci troppo nel rivelare informazioni certe, così da mantenere un certo alone di mistero.
Sono rimasta anche molto colpita dalle scene finali del film [SPOILER ALERT], che lasciano lo spettatore con il dubbio che i campioni di rocce lunari portate sulla Terra dalle missioni Apollo precedenti siano in realtà piccoli lunamorfi.

COM’È STATO FATTO IL SUONO DEI PASSI DI ROBOCOP?

 

Uno degli elementi più iconici di RoboCop è sicuramente il suono che fanno i suoi pesanti piedoni metallici a ogni passo.

Tutti gli effetti sonori del film in realtà sono molto curati, tanto che i due tecnici John Pospisil e Stephen Flick hanno ricevuto, nel 1988, un premio Oscar speciale per il montaggio degli stessi.

Il suono dei passi, però, resta il mio preferito: soprattutto da quando, anni fa, ho visto questa foto che mostra il marchingegno utilizzato per produrlo.
Si tratta, se non ho capito male, della cinghia di trasmissione di un camion avvolta su sé stessa, alla quale viene poi aggiunto in post-produzione un leggero suono di sintetizzatore a bassa frequenza.

Una scoperta che mi ha lasciata affascinata e testimonia tutta la creatività che, in una produzione cinematografica, può esserci anche dietro ai più piccoli dettagli.

Foto: HollywoodLostAndFound.net

MARTEDÌ DELLO XENO – I MARZIANI NE “I SIMPSON”

 

Oggi, al MARTEDÌ DELLO XENO, degli alieni provenienti dall’universo de “I Simpson”… ma non quelli che state pensando!

Di primo acchito infatti la mente dovrebbe andare subito a Kang e Kodos, i due extraterrestri originari di Rigel VII (quelli verdi, con i tentacoli e un solo occhio) che compaiono in diversi episodi speciali di Halloween. Ma in realtà nel cartone c’è anche un’altra specie, apparsa molto meno di frequente: i marziani.

Piccoli di statura, completamente glabri e con la pelle verde pallido, hanno occhi molto grandi e le orecchie a punta. Le loro mani sono dotate solamente di tre dita che culminano con una sorta di “pallino”, simile a quello che si trova anche sulla punta dell’antenna che hanno in testa.

A parte l’aspetto fisico, però, su di loro non sappiamo praticamente nulla: compaiono per la prima volta nell’episodio “Homer il grande” (Stagione 6, andata in onda nel 1995), dove viene mostrato che un marziano è membro del Sacro Ordine dei Tagliapietre e lo si vede divertirsi a bere birra e cantare assieme ai suoi confratelli.
Nella canzone “We Do” viene anche accennato come sia proprio quella loggia massonica a tenere segreta l’esistenza dei marziani al resto dell’umanità, senza che però vengano forniti altri dettagli.

Poco importa, perché dopo quell’episodio questi alieni sono apparsi pochissime altre volte e sempre in storie non canoniche, come gli speciali di Halloween o quelli che mostrano possibili futuri. In alcune di queste, tra l’altro, hanno un aspetto diverso da quello mostrato nel 1995, cosa che ha generato un po’ di confusione tra i fan più puntigliosi.

Ultima curiosità: il marziano che fa parte del Sacro Ordine dei Tagliapietre è il cinquantunesimo membro della setta di Springfield, un chiaro riferimento all’Area 51.

I FANTASTICI CLAIM DEI FILM ANNI ’70/’80/’90

 

“Dio è morto. L’Inferno esiste ancora.”

Ora, io ho sicuramente una vena nostalgica, lo ammetto, ma sono davvero innamorata dei claim che venivano messi (a volte a caso) sulle locandine dei film fra gli anni ’70 e ’90, l’epoca d’oro del genere action/trash.

Cose tipo il “Parte uomo. Parte macchina. Tutto poliziotto.” di RoboCop (1987, regia di Paul Verhoeven) o il “La guerra era la sua professione… questa volta non è guerra ma qualcosa di peggio!” per Predator (sempre 1987, regia di John McTiernan).

Insomma: frasi brevi, spesso ricolme di testosterone o semplicemente un po’ goffe. Ma che con quattro parole ti gettavano in faccia tutto quello che dovevi sapere sul film. Per come la vedo io, una vera e propria arte nell’arte!

Foto: particolare della locandina del film “Crime Zone” (1988, regia di Luis Llosa)

MARTEDÌ DELLO XENO – GLI ELUM

 

Oggi al MARTEDÌ DELLO XENO il mio personaggio preferito in assoluto dell’universo di Oddworld.

Gli Elum sono bestie bipedi originarie di Mudos (uno dei continenti del pianeta Oddworld), utilizzate dai Mudokon come cavalcature fin dall’antichità.

Dotati di torace e schiena belli possenti e di una spessa pelle colorata in varie sfumature tra il giallo scuro e il marrone, hanno zampe posteriori grosse e forti, al contrario di quelle anteriori, che invece sono corte e tozze, le tipiche “braccine da T-Rex”. Tutte, in ogni caso, sono dotate di artigli.
Il collo è allungato, proteso in avanti, e termina con una larga bocca ai lati della quale si trovano due grossi occhi che gli consentono una eccellente visione periferica. Subito sopra, poi, spuntano due piccole corna ricurve.
Hanno anche una codina piuttosto corta, che si agita più o meno animatamente a seconda del loro stato emotivo.

Sulla biologia invece si sa poco e nulla. Si presume che siano prevalentemente erbivori, anche se nel gioco viene mostrato in maniera molto chiara quanto siano ghiotti di miele: l’unica cosa in grado di distrarli dagli ordini impartiti dal loro cavaliere.
Per il resto, infatti, sono bestie piuttosti intelligenti e anche estremamente fedeli e affezionate, tanto da mettersi a mugolare di tristezza quando il padrone li lascia indietro.

Un esemplare, chiamato comunque semplicemente “Elum”, appare come comprimario nel primo capitolo della saga (“Abe’s Oddysee”, del 1997) e nel remake (“New ‘n’ Tasty!” del 2014). Tra l’altro, i pochi quadri dove lo si può cavalcare sono quelli che mi sono piaciuti di più. Quando suono la campanella e lo sento arrivare sono sempre contentissima e, se devo proprio dirla tutta, quando quelle parti finiscono divento molto triste.
Nei videogiochi successivi, invece, lo si vede di rado e non sono più presenti sezioni con lui. Questo perché, stando a quanto dichiarato dagli sviluppatori, programmarne il comportamento era molto complesso e lasciava le porte aperte a tanti bug, glitch e problemi vari. Inoltre averlo sullo schermo consumava molta RAM, limitando la presenza di altri possibili oggetti con cui interagire e, di conseguenza, la complessità del gioco.
Un vero peccato.

Ultime due curiosità:

– “Elum” scritto al contrario diventa “Mule”. Un gioco di parole voluto, visto che su Oddworld questi animali sono l’equivalente degli equini in quello reale.

– Fra i tanti orribili prodotti confezionati nei Mattatoi Ernia ci sono anche i “Bocconcini di Elum”, venduti accompagnati con una deliziosa salsa.

IL MIO COSTUME DI SHIN – DOROHEDORO

 

Finalmente il costume di Shin – Dorohedoro è pronto!

È il mio personaggio preferito quindi spero di averlo rappresentato bene 🫀🫀 ma vi giuro è stato complicatissimo!

Sicuramente lo porterò a qualche fiera, la maschera – anche se non sembra – è davvero comoda e morbida.

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