Abbandoniamo per un momento le luci al neon del cyberpunk, la pubblicità insistente, l’underground soffocante e i banchetti di cibo thailandese.
C’è un elemento cardine del genere: il perfezionamento dell’essere umano.
Se devo definire un principio che unisce ogni opera situata in un universo cyber è proprio questo: “l’umanità s’è rotta le scatole dell’uomo”.
Non sopporta più le sue fragilità corporee, i limiti invalicabili determinati da una forma composta da ossa e carne in decomposizione. Uno studio che cerca di rimediare alle disfunzionalità di una specie imperfetta e fallibile.
E allora ecco che le mega-corporazioni lottano per ottenere sì, fama e prestigio, ma il loro ultimo scopo è l’immortalità.
Il risultato? Si condannano a una vita grigia, asettica, triste.
L’uomo non è fatto per essere immortale nella carne se non ha elevato il suo spirito.
Per questi motivi seguo il cyberpunk e i suoi continui sviluppi: perché è un genere che odia la decadenza ma al tempo stesso la richiama a sé.
Un controsenso tipico della nostra specie.
Immagine: lemsyeming