Lo sentiamo spesso nei GDR ma anche quando si parla dell’intreccio narrativo di un’opera: “deus ex machina”, letteralmente “divinità (che scende) dalla macchina”.
Ma cosa significa e da dove deriva quest’espressione?
Dobbiamo tornare all’antico teatro greco.
La frase indica un personaggio (o un evento) che compare sulla scena per risolvere gli intrecci della trama in modo così inaspettato da risultare quasi improbabile da credere.
Quindi, nel momento in cui interveniva questo “risolutore”, l’attore era posizionato su una specie di gru in legno, mossa da un sistema di funi e argani, chiamata “mechanè” e veniva calato sulla scena dall’alto, simulando l’intervento di una divinità che scende dal cielo.
Secondo Aristotele, si tratta di un espediente sicuramente utile ma non bisogna cedere alla pigrizia e sfruttarlo troppo spesso.
Un uso eccessivo del “deus ex machina” era considerato prerogativa di autori poco raffinati che, altrimenti, non sarebbero riusciti a sciogliere trame troppo complesse.