BEAT ‘EM UP

 

Tra gli anni ’80 e i primi 2000, in sala giochi ma anche nelle prime console casalinghe, andavano molto forte i cosiddetti “beat ‘em up”, chiamati anche “picchiaduro a scorrimento”: videogiochi action in cui i protagonisti dovevano attraversare quadri pieni di nemici, suonandole un po’ a chiunque si mettesse sulla loro strada.

Un concetto semplice ma efficace. E se non eri proprio super-scarso, anche solo con qualche monetina, potevi giocare un po’ più a lungo che con giochi di altro genere.
E, almeno in quelli fatti bene, c’era grande attenzione nel proporre scenari e nemici accattivanti (soprattutto i boss di fine livello).

Il genere è stato declinato in ogni possibile variante, includendo anche ambientazioni prese da film, fumetti e cartoni animati.
Quando ero piccola mi ricordo che aveva grande successo il gioco arcade dei Simpson – che era bello lungo, mi sembra – ma anche Golden Axe, quello delle Tartarughe Ninja, X-Men.
I miei preferiti però erano quelli “originali”, soprattutto se ambientati in zone degradate in mano alle gang. E ce n’erano moltissimi: Final Fight, Double Dragon, Streets of Rage.

Ricordo con particolare piacere “Vendetta”, della serie “Crime Fighters”, con un personaggio palesemente uguale a Hulk Hogan tra i protagonisti, e il suo seguito, “Violent Storm”, per altro con ambientazione post-apocalittica.

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