CURIOSITÀ SU JURASSIC PARK

 

Jurassic Park è un film del 1993 diretto da Steven Spielberg, basato sull’omonimo romanzo scritto da Michael Crichton.

Amato da molti, è considerato il primo film ad alto budget a fare uso di CGI.
Ma è anche elogiato per le recitazioni, la colonna sonora di John Williams e la regia di Spielberg, cose che lo hanno portato a diventare il maggior successo cinematografico dell’anno e il film con maggiori incassi nella storia del cinema (il record verrà battuto qualche anno dopo da Titanic).

Ho trovato qualche curiosità legata proprio al primo capitolo della saga.

– Durante le registrazioni pioveva spesso e il T-Rex meccanico, esposto alla pioggia, non sempre funzionava correttamente perché andava in corto circuito.
La produttrice Kathleen Kennedy, lo ricorda così: “Il T-Rex faceva venire i brividi, a volte. Ci spaventava a morte. Accadeva, per esempio durante la pausa pranzo, che cominciasse a muoversi da solo. All’inizio non sapevamo cosa stesse succedendo, e poi ci siamo resi conto che era a causa della pioggia. Ma ci siamo presi un bello spavento, le prime volte.”

– La Universal si è assicurata i diritti del romanzo ancor prima che venisse pubblicato. L’uscita del libro e del film, tra l’altro, hanno influenzato così tanto l’immaginazione dei lettori e degli spettatori che le iscrizioni alle facoltà di paleontologia, in quegli anni, si moltiplicarono.

– Nel film, l’incontro con il Triceratopo malato termina senza una vera spiegazione del motivo per cui l’animale sia in quelle condizioni. Ma nel romanzo è tutto più chiaro: agli stegosauri (nel libro la specie è questa) mancavano i denti adatti per triturare il cibo e quindi inghiottivano delle pietre che – nel tratto digestivo – macinavano il cibo per favorirne la digestione. Dopo qualche settimana, però, le rocce diventavano troppo lisce per essere ancora utili e l’animale le rigettava.
Nel film, invece, il bestione trova e mangia nuove rocce da utilizzare ma per sbaglio strappa anche qualche bacca di lillà dell’India occidentale. Ellie però cerca tra gli escrementi quando bacche e pietre sono già state rigurgitate e questo spiega perché non ne trova alcuna traccia.

– Ci sono solo quindici minuti di film in cui vediamo effettivamente dei dinosauri. Di questi, nove minuti sono per gli animatroni realizzati da Stan Winston, nei restanti sei, invece, si tratta della CGI della Industrial Light & Magic.

– L’audizione di Ariana Richards (che nel film interpreta Alexis, la nipote di John Hammond) consisteva nel mettersi di fronte a una telecamera e urlare a squarciagola. Steven Spielberg “voleva vedere come l’attrice era capace di mostrare il puro terrore”.
In un’intervista, la Richards ha ricordato poi un aneddoto divertente: “Ho saputo che Steven aveva visto alcuni provini di ragazze, quel giorno, e che il mio nastro fu l’unico che riuscì a svegliare sua moglie, che dormiva accanto a lui sul divano, tanto che si alzò di scatto e andò in corridoio, a controllare se i bambini stessero bene”.

Fonte: Cinefilos

JURASSIC PARK

 

Jurassic Park è un romanzo di fantascienza di Michael Crichton pubblicato nel 1990 da cui è stato tratto l’omonimo film diretto da Steven Spielberg: Jurassic Park (del 1993).

È la prima volta che trovo dei veri e propri grafici all’interno di un romanzo, in questo caso necessari per spiegare i dati del parco, quindi molto efficaci.

Crichton intrattiene attraverso una narrazione asciutta e scorrevole e riesce a non rende pesanti nemmeno le lunghe parti descrittive sulle varie specie di dinosauri.
Ci sono molti aspetti del libro che mi sono piaciuti ma credo che il maggior spunto di riflessione si possa racchiudere in un unico punto:

MALCOM VS HAMMOND
Partiamo da questo presupposto: Ian Malcolm, per me, ha avuto e avrà per sempre l’aspetto e il carattere del suo noto interprete: Jeff Goldblum.
Stesso discorso per John Hammond. Per me è Richard Attenborough.
Quindi li ho immaginati esattamente come nel film e credo che questo sia qualcosa che ha reso il libro ancor più piacevole.

Detto ciò.

Ian Malcom è un matematico stravagante e gran paladino della teoria del caos.
A lui non serve analizzare l’isola per capire che tutto andrà male. Sa che il parco è solo un disastro in attesa di verificarsi ed è proprio attraverso i suoi dialoghi che lo scrittore ci spiega perché la costruzione del Jurassic Park sia, di fatto, un grosso errore.

“La vita trova sempre una via”.

E, infatti, quella che viene fatta ai dinosauri è una vera e propria violenza: riesumati dall’ambra, modificati geneticamente e confinati a vivere in una riserva. Schiavi in un mondo che non gli appartiene più.
Il voler “giocare a essere Dio” è la vera rovina di un progetto che si è posto obiettivi molto elevati purtroppo condizionati (per forza, aggiungerei) dalla lotta tra corporazioni.

L’autore ha dato molto spazio – giustamente – a questa corsa verso l’arricchimento: una gara spietata che svela i retroscena di grandi aziende a cui non importa nulla del progresso scientifico in sé ma solo del risultato finale.
I dinosauri sono, di fatto, solo un prodotto e come tale vengono trattati da tutti coloro che gestiscono l’isola. Un’arroganza che spaventa il matematico e il lettore.

Ian Malcom è la parte lucida, quella che riesce a vedere con distacco ciò che sta succedendo.

John Hammond, al contrario, è un sognatore. E ha la fortuna d’aver un capitale abbastanza vasto da investire in ciò che vuole.
Per lui, la visione del Jurassic Park è più importante dell’evidenza e di ogni problema che si presenta.
È un atteggiamento infantile che mette quasi tenerezza se non sfociasse in un’assurda mancanza di senno.
I nipotini ospiti al Jurassic Park ne sono l’esempio: Hammond preferisce tenerli accanto a sé, su un’isola, in mezzo ai dinosauri pur di allontanarli da una situazione di tensione familiare.
Come se una gita tra i T-Rex potesse essere più “sicura” rispetto alla tristezza di un divorzio.
È come un bambino in cerca di facili distrazioni.
Il problema è che è fuori controllo.
Hammond non sopporta il modo disincantato con cui Malcom critica il suo sogno e Malcom trova assurdo il “servirsi della vita altrui per soddisfare un proprio capriccio” di Hammond.

Un libro sicuramente più adulto rispetto al film e che vuole trasmettere un messaggio importante: una critica rivolta a quella scienza che usa la vita come semplice “ingrediente” per gli esperimenti, senza alcun rispetto.

IL MONDO DEI ROBOT (WESTWORLD)

 

Il mondo dei robot (Westworld) è un film del 1973 scritto e diretto da Michael Crichton con l’icona western Yul Brynner.

In un futuro prossimo – le vicende sono ambientate nel 2000 – lo sviluppo tecnologico permette la produzione di androidi in grado di imparare, mostrare emozioni e interagire con gli esseri umani.
Per garantire il divertimento ai facoltosi turisti viene inaugurato il parco a tema “Delos” suddiviso in tre sezioni, con rispettive ambientazioni storiche: Antica Roma, Medioevo e Far West.
I personaggi che interagiscono con gli umani sono tutti impersonati da androidi programmati per non danneggiare i visitatori, essere accondiscendenti e – qualche volta – soddisfarli sessualmente.
I robot sono seguiti da una sala controllo dotata di moderni computer e degli operatori umani attivi ininterrottamente.

Precursore del tema “macchine ribelli”, viene accreditato come primo film realizzato con l’ausilio della grafica computerizzata.

Qualche curiosità:

– Il soggetto fu rifiutato da tutte le compagnie cinematografiche: solo la MGM si interessò ma impose drastici tagli agli effetti speciali concedendo a Crichton solo sei settimane di tempo.

– Durante le riprese, un colpo a salve ustionò la cornea di Yul Brynner.

L’attore dovette rinunciare a portare le lenti a contatto lucide – che davano uno sguardo speciale al suo personaggio – e la produzione si arrestò per diverse settimane.

– Il film ebbe più di un seguito:
– Futureworld – 2000 anni nel futuro (1976)
– Alle soglie del futuro (1980)
– Westworld – Dove tutto è concesso (2016)

– L’unico effetto al computer fu quello ottenuto da John Whitney (esperto di effetti speciali) con le immagini in soggettiva del Robot/Brynner.
Questo procedimento, molto difficoltoso per l’epoca, richiese mesi di lavoro per poche decine di secondi di girato.

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