Questo post contiene qualche spoiler ma, essendo un’opera del 1895, mi prendo la libertà di parlarne un po’ più liberamente.
La macchina del Tempo è un romanzo di H.G. Wells nonché una delle prime storie ad aver portato nella fantascienza il concetto di viaggio nel tempo basato su un mezzo meccanico.
Anche se il libro è uno dei più famosi e innovativi dello scrittore, trae spunto da un’altra opera di Wells: Gli argonauti del tempo.
La trama la conosciamo tutti, ne scrivo una traccia solo per rinfrescarci la memoria.
Nell’Inghilterra di fine Ottocento, un eccentrico scienziato e inventore, grande conoscitore di fisica e meccanica, racconta ai suoi più stretti amici di aver trovato il modo di viaggiare nel tempo, ma non viene creduto.
Pochi giorni dopo, durante una cena, il protagonista ricompare in uno stato terrificante: oltre al colorito pallido e all’espressione sconvolta tutto il suo corpo è ricoperto di ferite e cicatrici e i suoi abiti sono sporchi e distrutti.
Egli racconta di aver costruito un mezzo in quarzo e avorio capace di viaggiare avanti e indietro nel tempo, ma non nello spazio, e di aver navigato lungo la corrente del tempo fino a raggiungere l’anno 802.701.
La storia non è altro che il racconto di questa grande avventura, delle civiltà conosciute e del destino dell’umanità.
Difficile dare un’opinione su un’opera tanto recensita, analizzata, vista e rivista ma provo comunque a dare un mio contributo.
IL VIAGGIATORE
Ci viene presentato come un eccentrico ricco signore al quale importa poco dell’opinione altrui e, in effetti, non potrebbe essere altrimenti.
Il Viaggiatore è il protagonista e principale voce narrante ma rimarrà sempre avvolto da un velo di mistero che ci accompagnerà per tutta la storia.
Perché ha costruito la macchina? Cosa l’ha spinto a intraprendere questa ricerca?
Alla fine sono domande che il lettore nemmeno si pone. Il ritmo incalzante si basa sugli eventi raccontati e non vuole dibattere su altro.
Mi è piaciuto come il Viaggiatore dubiti delle sue stesse percezioni mettendosi sempre in dubbio; smentendosi e rivalutando costantemente le sue tesi.
Non è un eroe, piuttosto un uomo allo sbaraglio consapevole dei suoi limiti – s’è lanciato nel futuro privo di equipaggiamento e ignaro di cosa avrebbe trovato – ma sa adattarsi e trovare soluzioni.
Direi quasi che, a eccezione della mente brillante creatrice di macchine del tempo, il Viaggiatore è il classico esploratore spinto da una fame insaziabile di curiosità quasi infantile e sognatrice – nel senso buono del termine –
I MORLOCK
Nel futuro, il Viaggiatore non trova esattamente quello che si sarebbe aspettato ma, tutto sommato, non incontra grandi difficoltà in quello che sembra essere il “paradiso dell’utopia” degli Eloi.
Questo, fino alla scoperta dei Morlock.
Sono state fatte moltissime analisi sulle similitudini esistenti tra Morlock/Classe Operaia e Eloi/Classe Borghese che riflettono la società britannica dell’epoca vittoriana.
Gli Eloi sono creature a cui non manca nulla: vivono in superficie una vita agiata, accuditi come bestie in una fattoria.
I Morlock, al contrario, occupano le viscere della Terra come veri e propri mostri. Il loro è un riscatto sulla classe borghese che, impietrita dalla paura e incapace di difendersi, non può far altro che soccombere.
Queste differenze esistono non solo a livello sociale ma anche sul piano biologico: Eloi e Morlock sono, a tutti gli effetti, due specie molto differenti a causa dell’ambiente in cui vivono.
Quello che vedo è un problema ben radicato e tremendamente inquietante di stasi dell’umanità.
Il divario tra ricchezza e povertà, secondo il libro, non solo è rimasto intatto nei secoli ma, addirittura, è peggiorato a tal punto da dividere l’umanità in predatori e prede.
Per la prima volta, la decadenza di Asimov, mi sembra un quadro quasi ottimista.
Piccola curiosità.
Alla trama del romanzo sono direttamente ispirate due opere cinematografiche:
L’uomo che visse nel futuro (The Time Machine, 1960) per la regia di George Pal
The Time Machine (2002) di Simon Wells, remake del film del 1960