Jurassic Park è un romanzo di fantascienza di Michael Crichton pubblicato nel 1990 da cui è stato tratto l’omonimo film diretto da Steven Spielberg: Jurassic Park (del 1993).
È la prima volta che trovo dei veri e propri grafici all’interno di un romanzo, in questo caso necessari per spiegare i dati del parco, quindi molto efficaci.
Crichton intrattiene attraverso una narrazione asciutta e scorrevole e riesce a non rende pesanti nemmeno le lunghe parti descrittive sulle varie specie di dinosauri.
Ci sono molti aspetti del libro che mi sono piaciuti ma credo che il maggior spunto di riflessione si possa racchiudere in un unico punto:
MALCOM VS HAMMOND
Partiamo da questo presupposto: Ian Malcolm, per me, ha avuto e avrà per sempre l’aspetto e il carattere del suo noto interprete: Jeff Goldblum.
Stesso discorso per John Hammond. Per me è Richard Attenborough.
Quindi li ho immaginati esattamente come nel film e credo che questo sia qualcosa che ha reso il libro ancor più piacevole.
Detto ciò.
Ian Malcom è un matematico stravagante e gran paladino della teoria del caos.
A lui non serve analizzare l’isola per capire che tutto andrà male. Sa che il parco è solo un disastro in attesa di verificarsi ed è proprio attraverso i suoi dialoghi che lo scrittore ci spiega perché la costruzione del Jurassic Park sia, di fatto, un grosso errore.
“La vita trova sempre una via”.
E, infatti, quella che viene fatta ai dinosauri è una vera e propria violenza: riesumati dall’ambra, modificati geneticamente e confinati a vivere in una riserva. Schiavi in un mondo che non gli appartiene più.
Il voler “giocare a essere Dio” è la vera rovina di un progetto che si è posto obiettivi molto elevati purtroppo condizionati (per forza, aggiungerei) dalla lotta tra corporazioni.
L’autore ha dato molto spazio – giustamente – a questa corsa verso l’arricchimento: una gara spietata che svela i retroscena di grandi aziende a cui non importa nulla del progresso scientifico in sé ma solo del risultato finale.
I dinosauri sono, di fatto, solo un prodotto e come tale vengono trattati da tutti coloro che gestiscono l’isola. Un’arroganza che spaventa il matematico e il lettore.
Ian Malcom è la parte lucida, quella che riesce a vedere con distacco ciò che sta succedendo.
John Hammond, al contrario, è un sognatore. E ha la fortuna d’aver un capitale abbastanza vasto da investire in ciò che vuole.
Per lui, la visione del Jurassic Park è più importante dell’evidenza e di ogni problema che si presenta.
È un atteggiamento infantile che mette quasi tenerezza se non sfociasse in un’assurda mancanza di senno.
I nipotini ospiti al Jurassic Park ne sono l’esempio: Hammond preferisce tenerli accanto a sé, su un’isola, in mezzo ai dinosauri pur di allontanarli da una situazione di tensione familiare.
Come se una gita tra i T-Rex potesse essere più “sicura” rispetto alla tristezza di un divorzio.
È come un bambino in cerca di facili distrazioni.
Il problema è che è fuori controllo.
Hammond non sopporta il modo disincantato con cui Malcom critica il suo sogno e Malcom trova assurdo il “servirsi della vita altrui per soddisfare un proprio capriccio” di Hammond.
Un libro sicuramente più adulto rispetto al film e che vuole trasmettere un messaggio importante: una critica rivolta a quella scienza che usa la vita come semplice “ingrediente” per gli esperimenti, senza alcun rispetto.