Qualche settimana fa ho parlato del videogioco che ha preso ispirazione da uno scritto.
Oggi, quindi, approfondisco le origini del racconto.
L’ho trovato nella raccolta “I Premi Hugo – 1967/1968” della collana Urania.
Harlan Ellison l’ha scritto in una sola notte ispirato dal disegno di un suo amico, William Rotsler, che aveva raffigurato una bambola di pezza senza bocca.
Sarò breve.
La storia si articola in pochissime pagine di sofferenza.
I protagonisti sono costretti in un mondo crudele, vittime di un gioco perverso architettato da una macchina che ha acquisito l’autocoscienza.
C’è una vera e propria “trasmissione del dolore” che arriva al lettore come un pugno di faccia perché senza fronzoli né filtri, con un finale ancor più tremendo e inaspettato.
La trama non regala mezza gioia: è un incubo dal quale è impossibile svegliarsi.
Un inferno inespugnabile dove anche la morte fatica ad assolvere il proprio ruolo.
Forse la prima volta in cui ho sperato che i protagonisti morissero per porre fine alle loro sofferenze.
Non c’è redenzione: lascia un’ombra nel lettore.
Un’angoscia densa e asfissiante come catrame.
Immagine: Xiau-Fong Wee