Nel contesto del survivalismo esistono due strategie che possono sintetizzarsi con il “bugging in” e il “bugging out”.
Entrambe richiedono addestramento per la sopravvivenza in ambienti naturali, acquisizione di competenze tecniche, pianificazione delle attività e accumulazione dei materiali.
In linea di principio il “bugging in” risponde maggiormente alla mentalità del “prepper” mentre quella del “bugging out” a quella del “survivalista”.
Le tattiche operative sono comunque sovrapponibili.
– Bugging in –
È la strategia che prevede di trincerarsi in casa o in un luogo sicuro appositamente preparato.
In casi estremi sono approntati dei veri e propri bunker.
La tecnica prevede di restare al sicuro fino alla fine della minaccia.
L’implementazione prevede che la struttura sia rifornita d’acqua, viveri e ogni altra cosa potrebbe essere necessaria.
– Bugging out –
Al contrario, questa strategia prevede l’abbandono della propria abitazione per trovare rifugio in un luogo più distante dalla minaccia e quindi più sicuro.
Essendo una tattica, il “bugging out” non è una semplice fuga, richiede pertanto una pianificazione preventiva della destinazione, del percorso e del materiale di supporto da prelevare.
Occorre quindi allestire un ambiente sicuro, come una casa di villeggiatura, di amici o parenti in cui trasferirsi dove devono già essere state predisposte scorte di acqua, viveri e altri generi di prima necessità.
Bisogna poi preparare uno zaino con tutto l’occorrente per sopravvivere: rientra in questa categoria la cosiddetta “72hours bag” raccomandata alla popolazione degli Stati Uniti dalla Federal Emergency Management Agency.
Il nome assegnato allo strumento è da ricollegarsi al tempo (appunto 72 ore) massimo stimabile in cui il kit potrebbe fornire supporto ai cittadini dopo il verificarsi di un evento calamitoso nell’attesa che le strutture di soccorso provvedano a intervenire.