Fin’ora, nella serie “Vita da Vault” vi ho raccontato la storia di molti – e spesso terribili – esperimenti condotti dall’azienda Vault-Tec nei suoi famosi bunker antiatomici.
Per completezza di informazione, però, è giusto specificare che vivere in un Vault non vuol dire per forza essere sottoposti a qualche subdolo condizionamento. Anzi, alcuni sono stati concepiti per ospitare della popolazione che funga da gruppo di controllo per altri esperimenti. Cosa che, di fatto, si traduce nel vivere DAVVERO tranquilli e al sicuro dietro quelle pareti rinforzate, mentre fuori si consuma la guerra atomica.
Un buon esempio di questa circostanza è il Vault 13, apparso nei primi due videogiochi della serie Fallout.
Confortevole e progettato per ospitare circa un migliaio di persone da usare proprio come gruppo di controllo del Programma di Conservazione della Società (l’iniziativa volta a preservare una fetta della popolazione degli Stati Uniti e con essa lo stile di vita americano), la sua missione era semplicemente quella di restare sigillato duecento anni e raccogliere dati sugli effetti dell’isolamento prolungato sugli abitanti.
Quando non ci si mette la Vault-Tec, però, ci si mette la sfortuna.
Ottantaquattro anni dopo la chiusura, infatti, un malfunzionamento del chip necessario a far andare il macchinario di purificazione dell’acqua costrinse il Sovrintendente ad aprire le porte prima del tempo e inviare qualcuno all’esterno per cercare un ricambio.
Iniziano così gli eventi raccontati nel primo Fallout.