L’orlo della Fondazione è un romanzo fantascientifico del 1982 di Isaac Asimov, facente parte del ciclo della Fondazione.
È il quarto libro del ciclo, scritto trent’anni dopo la trilogia originaria.
Nell’arco della narrazione si colloca come sesto dei sette.
Primo di Asimov a divenire un best seller, dopo quarantaquattro anni di scrittura e 262 libri.
Al suo esordio, ebbe tanto successo che per venticinque settimane rimase nell’elenco dei libri di fantascienza più venduti del New York Times.
Nel 1983 ricevette sia il premio Hugo sia il premio Locus come miglior romanzo.
Questi sono gli appunti che ho raccolto:
PRIMA FONDAZIONE
“Non permettere mai che il tuo senso morale ti impedisca di fare quello che è giusto.”
Nell’Orlo della Fondazione troviamo questa fazione potente e scaltra. La tecnologia li ha resi liberi e indipendenti da ogni cosa, perfino dal Piano Seldon.
Un volontario e lento distacco che ha emancipato un popolo stufo di dover dipendere da una “profezia” (anche se basata su calcoli e non sulla fede), che è consapevole del suo prestigio e ha voglia di rivalsa.
Una società che detesta l’ombra della Seconda Fondazione, di tutto ciò che possa controllarla e veicolarla come farebbe il padrone che stringe il guinzaglio del proprio cane.
Anche se il Sindaco Branno è una delle personalità che ho giudicato più spiacevoli dell’intero ciclo, ne ho capito a pieno le motivazioni, arrivando a giustificare quella che, a primo impatto, può essere giudicata come “fredda crudeltà”.
SECONDA FONDAZIONE
“Non fare niente a meno che tu non ci sia costretto, e quando sei costretto ad agire prima esita.”
Nel mio immaginario: un gruppo di pomposi individui che siedono attorno a un tavolo mandandosi impulsi mentali per comunicare modifiche del Piano Seldon che non esisterebbe senza pomposi individui che siedono attorno a un tavolo mandandosi impulsi mentali per comunicare modifiche del Piano Seldon.
C’è una parola, che secondo me, racchiude il concetto della Seconda Fondazione: controllo.
Il controllo che esercita (o prova ad esercitare) su tutto.
Non dico che sia un despota senza scrupoli e nemmeno che goda nel veicolare questo potere ma, di fatto, governa silenziosamente la Galassia.
Era ciò che voleva Hari Seldon, in fondo.
La Tavola degli Oratori, però, è gestita da uomini (straordinari, sì) ma pur sempre fallibili.
Le lotte e i tradimenti toccano anche loro come chiunque altro.
Anche in questo caso, ciò che li spinge ad agire è una nobile, ottima giustificazione.
Questo peso si fa sentire durante la narrazione.
Difficile a questo punto scegliere quale sia il male minore:
meglio essere guidati dalla tecnologia di un Nuovo Impero o lasciare che il piano Seldon gestisca ancora una volta il destino dell’umanità?
Gendibal, facente parte della Tavola, è in netta contrapposizione con il sindaco Branno eppure ho riscontrato un importante punto in comune tra i due: l’ambiziosità.
GAIA
“Chi è Gaia?”
Bliss apparve interdetta. “È semplicemente Gaia.”
Terza e ultima fazione.
Scopo e struttura del pianeta: chiaro e descritto con molta attenzione.
I concetti vengono ripetuti e analizzati secondo vari punti di vista, mai scontati o banali che aggiungono, ogni volta, un dettaglio in più alla narrazione.
Di Gaia non so se averne paura o esserne affascinata, non capisco se potermi fidare di lei o respingerne l’idea di base.
TREVIZE E PELORAT
“Dorme?”
“Finché lei parla, è escluso.”
Il rapporto tra questi due personaggi è, in assoluto, la dinamica che mi è piaciuta di più.
Ho trovato una piacevole ironia, parole semplici e dialoghi credibili.
Trevize, determinato e spigoloso e Pelorat, accomodante e dolce sono una coppia vincente perché compensano le mancanze reciproche e amplificano i loro pregi.
“Io sono un uomo abituato alla passività, Golan. Ho trascorso la vita chino su documenti. L’attesa è il mio mestiere. Lei invece è un uomo d’azione e quando le impediscono d’agire sta male.”
Ogni aspetto di questo rapporto mi ha appassionato (pur apprezzando di più il “vecchio” Pelorat), in loro compagnia la ricerca è stata ancor più avvincente perché si ponevano le stesse domande che mi facevo anche io.
Mi ha divertito sapere di non essere “l’unica” a tormentarsi con dubbi e perplessità.
LA CONTADINA
La vera determinazione l’ho trovata nel più insolito dei personaggi.
Sura Novi, donna semplice con una forte personalità che, confidandosi con Gendibal, aspira a diventare molto più di una semplice contadina.
“Tu vuoi fare la studiosa?”
Come poteva spiegare a una contadina ignorante che per diventare quello che i trantoriani chiamavano tedioso occorreva un certo livello di intelligenza, di educazione, di energia mentale?
“Io so leggere e scrivere. Ho letto interi libri dalla fine a anche dall’inizio. E c’ho voglia di stare tediosa. Non voglio fare la moglie del contadino. Non sto adatta ai campi. Non sposerò il contadino, non farò figli al contadino.”
“Che cosa farà nella vita, se non si sposa?”
“Starò tediosa. Non starò contadina.”
“E se non posso farla diventare una studiosa?”
“Allora non sto niente e aspetto di morire. Non voglio star niente nella vita, se non tediosa.”